mercoledì 6 marzo 2013

I am fine

Tornata a casa dall'ufficio ho scritto una mail. Diceva ciao. avevo voglia di sentirti ma non me la sono sentita di chiamarti, come stai?
L'ho cancellata e mi sono messa rimmel e rossetto, la giacca.
Fuori era già buio. Avevo voglia di piangere ma non ho pianto. La prima persona che ho incontrato è stato il mio vicino di casa che tornava a casa con le buste della spesa, sulla sua carrozzina elettrica. Non ci conosciamo, non ci siamo mai rivolti neanche un saluto, ma ogni volta ci guardiamo, riconoscendoci nella stessa condizione. Una pioggerella umida bagnava la strada. Ho percorso il marciapiede che portava fino alla  rosticceria, pregando che lo scalino non fosse troppo alto, che non ci fosse troppa gente, che io non facessi gaffe da panico. Una commessa che scambio per un ragazzo mi saluta sorridendo. Sorrido e mi lascio avvolgere dai profumi della cucina e dal bancone pieno di tante buone cose da scegliere. Chiedo il cous cous, lo chiedo per due, mi do della stupida tra me e me,  pago ed esco. all'uscita un signore mi tiene la porta aperta, lo ringrazio a testa bassa, attenta a non "capitombolare" nello scalino (basso, fortunatamente!), poi mi sento dire "tu sei francesca, vero?" - allora lo guardo e non lo riconosco, lui mi ricorda che è il marito di una collega, ci auguriamo buona serata e riparto verso casa.
niente panico, niente gaffe, tutto liscio, tutto regolare.
con la bustina con dentro la mia spesa rientro in casa.

e la casa è sempre quella, è la mia, e stasera sì, è vuota. stasera più di altre volte. stasera ho rinunciato alla mia voglia di amore, e non mi sento più forte per questo, nè più brava, e la porzione per due di cous cous mi fa sentire ancora più sola, e non c'è consolazione in tutto questo, c'è forse il sapere che posso farcela, che posso farcela, e forse questo pianto morto insieme alla mail cancellata tornerà prima di notte, e la mancanza di lui resterà qui con me, stasera, e domani sarà un altro giorno, e la mia casa
sarà la mia casa.
vuota.
mia.




domenica 3 marzo 2013


La prima cosa che fece, chiuso lo sportello della macchina, prima di mettere in moto, prima ancora di accendersi una sigaretta, fu guardare in alto. la prima cosa che fece fu cercare la luna. si dovette piegare un pò in avanti, a superare l'ostacolo del tettuccio e del parabrezza, per trovarla. allora la vide, allora restò così: ferma, piegata, per un poco, a guardarla. sbattè le palpebre. due volte. al secondo battito ci saltò su: arrivò fino alla luna. fece qualche passo, poi guardò giù e si vide. seduta in macchina, ferma, piegata in avanti, a guardare in alto.
Allora, dalla luna, iniziò a parlare, guardandosi giù, in basso.

Cosa fai lì? Lì al buio, cosa fai? Perchè, come sei arrivata fino a lì, fin dentro la macchina, ferma al buio col naso all'insù? cosa ti ha fatto arrivare fino a lì? Perchè? E adesso dove vai? Dove vai, piccoletta coi tuoi passetti stentati, col tuo cuore debole e i tuoi ragionamenti aggrovigliati? dove metterai le mani adesso? quali saranno le prime parole che ti usciranno dalla bocca? Le prime paole, dopo. Dopo quello che hai ascoltato, quello che hai visto, le parole dopo i tuoi silenzi arresi, dopo la tua continua, continua arrendevolezza. Perchè ancora? cos'è che cerci girando in tondo, ferma in questa via che non è casa tua, che non t'appartiene, che è uno sbaglio di percorso, non vedi? non vedi che non c'è nessuno, qui, per te? che ti apre la porta, che ti aspetta in casa. non vedi, non vedi quanto non si riesca a vedere nulla, qui. non vedi quanto è buio? non vedi che tutte le domande e tutte le richieste si spengono nel rumore di discorsi che non dicono niente? basta. gira la testa, cambia direzione, sguardo, apri gli occhi, apri bene le orecchie, guarda questo mondo che guardo da quassù, guarda è bello! è tutto blu, e bianco, e viola, guarda è bello...

Abbassò lo sguardo, mise in moto, cercò con la mano dentro la borsa il pacco di sigarette, l'accendino, prima di spingere l'acceleratore girò un pò la testa, di lato, guardò in alto, poco poco più in alto, non più verso la luna. lui era alla finestra. le sorrise, la salutò con la mano. sorrise anche lei, senza salutarlo.  poi partì.


sabato 23 febbraio 2013

con diverse scarpe su una strada sola


questa lettera non ha niente da chiedere.
e forse poco da dire.
come stai - ma è una domanda retorica. non tanto per il senso, ma per la risposta.
pensandoci - perchè ci penso - in queste settimane che diventano così facilmente mesi, vivrei la cosa più bella che io abbia deciso, la mia carrozzina elettrica, un'ora con te. solo questo.
d'istinto ti cerco, per le strade, poi un giorno ti trovo. impreparata. uh! quanto mi dispiace quello sguardo dall'alto al basso. modi e conversazione come se io lì non ci fossi. forse, è che ci sono troppo. questo, concedimelo. esisto troppo. si può "esistere troppo"? ce la siamo cavata malino. primo round andato a puttane. non importa.
non ho la più pallida idea di come poterti stare vicino. e forse non sono neanche io che devo volere.
sì, una passeggiata, questo solo potrei offrirti. zero parole. non abbiamo mai "camminato" uno a fianco all'altro. mai. è bello, sai? a volte qualcuno ha ancora l'istinto di mettersi dietro e spingere. allora ridiamo, e chi è con me ridendo si rimette al fianco. ma tu abbassati. la prossima volta, abbassati. piega le ginocchia, le caviglie, guardami da pari. non siamo niente di più niente di meno che due persone che devono reimparare a incontrarsi. non rimarrò sempre "seduta" davanti a te. mi alzerò, un giorno. prima gli occhi, poi la testa, poi il cuore forte poi, infine, le gambe. le gambe fino a fare le scale di casa tua a due a due, con un dolce in mano, mentre sul gas tu avrai messo a bollire l'acqua per la tisana e j-lo farà le fusa.


venerdì 8 febbraio 2013

"Everything and I mean everything can learn how to sing"


"Aspettando la primavera? che ne dite?"
Seduti davanti al Capo io e il mio collega ci guardiamo muti.
"Caccia al tesoro? Prestiti in primavera? Un tesoro di prestito" incalza il capo. Il collega ride timido.

Guardo fuori: s'è già fatto buio. Dalla finestra dell'ufficio del mio capo mi accorgo per la prima volta che si vedono altri uffici. Una sola finestra è illuminata. Dentro c'è una donna bionda, seduta alla scrivania. La guardo scostarsi una ciocca di capelli ricci e metterla dietro all'orecchio. Si alza, va verso un armadio, tira fuori qualcosa che non riesco a vedere, molto probabilmente fascicoli, si risiede alla scrivania. La guardo china sul piano della scrivania, è vestita di nero, di nuovo si scosta i capelli dal viso.

"Caccia al tesoro, dunque"
Scosto l'attenzione dalla donna e dalla finestra del suo ufficio, il capo mi sta guardando, vuole un cenno di approvazione o qualcosa.

Mi piace - dico, chiedendomi perchè quella donna non è già casa e io come sono finita a parlare di slogan per vendere prestiti personali alla gente. Qual è stato l'inghippo e in che momento è accaduto. Troppo difficile.
L'ultimo sforzo di concentrazione che mi rimane è per correggere l'italiano del Capo che prepara le slide.

Quando finalmente sono uscita, tardi, dall'ufficio, sono salita in macchina ma non ho messo subito in moto. non so perchè, sono rimasta un pò ferma lì, immobile. poi, una volta in strada, almeno un paio di volte dei clacson suonati forte mi hanno spaventato, il cuore mi andava a mille, volevo solo essere già a casa.

arrivata a casa ho preso il carboncino e ho disegnato sul muro una ballerina...

no, questo no, non l'ho fatto. ma è quello che avrei voluto fare.

ho atteso le mie amiche per cena, le ho ascoltate parlare di sanremo, del lavoro, di politica, e quando ho sentito che era ora di dire qualcosa anche io ho raccontato che prima delle otto della mattina sono uscita con la carrozzina elettrica per andare a comprare le sigarette e che lo scalino era alto e stavo quasi per cadere perchè una signora ha strattonato nervosa la porta alla quale mi stavo aggrappando, ma che poi ce l'ho fatta.
"sei soddisfatta di te stessa?" mi ha chiesto una delle amiche.
No, ho risposto, m'è costata troppa fatica, non ho sentito nessuna soddisfazione. ma almeno avevo le sigarette.

ora mi preparo per andare all'ospedale per un controllo, poi dovrò tornare al lavoro perchè devo pubblicare nel portale aziendale il monitoraggio di qualcosa che non so nemmeno cos'è.

La giornata è appena iniziata e io, ancora a casa, non vedo l'ora di tornare a casa. o bussare alla sua porta.

On my most broken days 
when my faith is a willow and the pain has nothing but an ax to give
The only thing I want than to die 
is to live 
Is to live to hear my neighbor play his music obnoxiously loud
To get cut off in traffic fifty more times
To get broken up with while standing in line at the DMV
To have another doctor drive another needle into my skin for the hundredth time
So I can say, for the hundredth time, that needle is the needle on a record player, Doctor, everything and I mean everything can learn how to sing

Andrea Gibson, “An Insider’s Guide on How to be Sick"




martedì 22 gennaio 2013

con un po', ma solo un po', di immaginazione

Entrando nell'atrio della palestra una tipa del corso di karate gli sorrise, mentre usciva.
Ciao - le disse, chiedendosi se l'avesse già vista. carina molto.
nello spogliatoio Stef stava tenendo una semi-conferenza sulla sua teoria del giorno - l'argomento era: le donne. tanto per cambiare.
lasciò perdere il pensiero che domattina aveva messo il compito in classe alla prima ora e doveva alzarsi prestissimo per fare le fotocopie da dare ai ragazzi, e incorniciò la dissertazione di Stef con un paio di battute sarcastiche. Giovannino ascoltava divertito ma senza intervenire.
Lin arrivò con un Hey ciiaaoo! al quale i ragazzi risposero facendole il verso. tranne lui. l'avrebbe salutata per bene in palestra.
Il regista si affacciò sulla porta dello spogliatoio. Pronti? disse, con quel suo tono un po' impostato che lo divertiva sempre un po'. una volta ne avrebbe fatto una battuta. Stef e Giovannino, nei loro corpicini magri e snelli, nei loro pantaloncini corti, corsero in palestra. lui sentiva freddo, aveva messo la tuta felpata, e un maglioncino di lana leggera, nero, che slancia.
ci siamo tutti? sentì dire dalla palestra.
sì, sentì rispondere. era Lin.
ci sono tutti.
mentre si metteva i calzettoni si accorse che il regista aveva già attaccato una musichetta di riscaldamento. le solite musichette etniche. che palle. avesse potuto portare un po' di canzoni sue, un bel brit-pop di quelli potenti. ma la musica che piaceva a lui non veniva apprezzata. lo sapeva da un pezzo, ormai. non la portava più, la sua musica. forse più avanti. magari un pezzo dei suede. lei avrebbe sicuramente fatto una battuta. sorrise, ricordando.
uscì dallo spogliatoio,  uscendo spense la luce.


lunedì 14 gennaio 2013

no. mai.

Domani inizia il primo giorno di laboratorio teatrale senza di me.
Va bene così.
Lui c'è, io no. Ho scelto io.
Eravamo belli insieme. Lo siamo sempre stati. Avreste potuto vederci...!
Va bene così.
Io lavorerò. Una presentazione da fare. Un corso da preparare. Una trasferta. Sveglia presto, mille impegni. Domani c'è un bel film alla tv.
Bene così.
Forse non li penserò troppo. Tutti lì, sul linoleum verde della palestra, la musica, il movimento, gli sguardi. Tutti lì., tutti lì, tutti lì, tutti lì....


(mi sembra, a tratti, di essermi scordata il viso, la voce. Non i gesti, il tono, i modi di dire. quelli, me li porto addosso. a volte mi chiedo se mi pensa. e per difendermi, ma solo per difendermi, mi rispondo da sola: no... mai...)


(ma chi è che ha creato questo video? sapeva di noi?)

venerdì 11 gennaio 2013

Volver

I sogni non vanno creduti. Ma al risveglio la città è coperta di nebbia bianca e fumosa e l'assenza di precisione trattiene i contorni poco nitidi dei sogni degli abitanti. Per la prima volta dopo tempo eterno tornavi. Sorridevo sorridevo sorridevo. Non riuscivo a farne a meno.
Poco dopo, tra il caffè nero e caldo e un'aspirina, non ho saputo più dove cercarti. Dove trovarti. E questo è reale. Non è neanche più amore. E' una natura strana, la mia. Non accetta mai. Se fossi matta la prima cosa da matta che farei sarebbe prendere uno dei nostri amici per la maglia, sbatterlo forte, forte forte forte, mentre urlo "riportamelo! riportamelo qui riportamelo qui riportamelo"
Gli amici. Continuo a riceverli. "Ti vedo bene" - mi sento dire. Continuo a sorridere a tutti loro. Ascolto la teoria di ognuno. Ognuno ha qualcosa da dire su noi due, lo sai? Fanno un gran rumore. Mi fanno rumore, nel cuore. So anticipare ogni tuo pensiero, gesto, parola. Ma teorie su di te non ne ho. Ho il tuo abbandono sulla schiena, come uno zainetto col quale mi muovo.
Inizio la giornata, la nebbia s'è alzata. Stanotte ho sognato che tornavi. Fuori un'auto suona il clacson, forte. Sono in ritardo per il lavoro. I sogni non vanno creduti.