mercoledì 30 novembre 2011

dammi tu la voce: io ti presto me.

dammi tu la voce. io, è come se l'avessi persa. però io lo so che tu conosci i miei pensieri, te li ho affidati, snocciolandoli come un rosario, sera dopo sera, un pochino ogni giorno, e li hai presi.
dammela tu, la voce, perchè non la voglio più usare. e scusa. scusa se ti chiedo questo. mi chiedo sempre quanto sia giusto chiedere.
allora no, ti dico.
ma cosa posso dirti? le mie cose sono piccole piccole.

ti racconto di un improvviso volo di uccelli in stormo, il rumore che hanno fatto... fffrrrrrrrrrrrr... forte forte, e abbiamo alzato gli occhi e abbiamo fatto silenzio.... fffffffrrrrrrrrr....... come un messaggio, come il mondo che si muove, tutto intorno, e noi piccoli piccoli a sprecare parole di no di non di mai di più e loro sono volati violenti bellissimi tutti assieme, chissà dov'erano nascosti, chissà cos'hanno ascoltato, chissà quale tramonto li ha chiamati, quale urgenza, quale stanchezza, quale vita forte, più forte della nostra.
o della luna, ti racconto? quando la cerco, come un bisogno. delle notti in cui ho cercato di fermarla in uno scatto, e poi una sera, con l'obiettivo puntato su di lei qualcuno mi ha detto la luna è l'unica cosa che non si può fotografare, non lo sai? e allora ho abbassato la macchina fotografica, e ho smesso di provare a prenderla, e adesso io la guardo - tutte le sere la guardo - e so che non posso prenderla ma non importa, so però che lei se la cerco la trovo, e questo basta.
una sera al telefono mi sono affacciata e lei era lì. rossa.
esci! ho detto. esci fuori! guardala! è...bellissima!
ho sentito il portone che si apriva e poi si chiudeva, i passi che facevano le scale e poi sul ghiaino intorno a casa.
ma niente, non l'ha vista.
è bellissima, ho ripetuto, anche se non la vedeva.

ieri notte a letto ho letto ad alta voce cattedrale, di raymond carver, in inglese, non so a chi, ma l'ho letta a qualcuno. c'è questo cieco che mette la mano sopra la mano del protagonista e gli chiede di disegnare una cattedrale, e lui la disegna, con la mano del cieco sopra la sua. quando ha finito il cieco gli chiede allora? com'è? com'è venuta? e il protagonista chiude gli occhi e sta con gli occhi chiusi. è bellissima, gli risponde.
mi commuove sempre e non ho ancora capito perchè.


e forse tra poco andrò in terrazzo, che la notte sento il respiro pesante delle finestre aperte che dormono, sento che la gente dorme, e che allora va tutto bene se intorno a me dormono e io sento i loro respiri pesanti dei sogni, e posso restare calma e ferma anch'io, a guardare la luna, o il cielo o, se sono fortunata, le stelle.
una notte mi inviò una mail con la foto di un cielo stellato, niente testo, solo una foto, ci sono ricapitata stasera, l'avevo scordata.
io so solo che riesco a riordinare le cose col cielo nero. quello del sonno degli altri, del nascosto, del silenzio, della quiete, quello dove tutto è possibile perchè niente è ancora iniziato, il cielo nero che partorisce luna e stelle oppure niente, il cielo nero delle nuvole nere, quello che se ci sei lì davanti, puoi chiamare - capito? - puoi chiamare a gran voce, e non fai danno a nessuno, fai piano, col cielo nero, non fai rumore, rispetti il sonno, e i respiri pesanti e il passante solitario e le coppie che si baciano sotto casa, e puoi chiamare.
Io lo chiamo sempre, tutte le notti, anche se non mi sente.
anche se non verrà.

sabato 26 novembre 2011

a te, invece, lo dico con una canzone

"Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. E' genio, quello. E' geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo viverli, ma non ci sono riuscito.
Allora li ho incantati.
E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. Geometria. Un lavoro perfetto. Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando una notte intera per una donna, una, la pelle trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe sottili, ondeggiava la testa al suono della mia musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo, mai, una notte intera, quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita, furono tutte le donne del mondo. Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando un bambino morire, per giorni, seduto accanto a lui, senza perdere niente di quello spettacolo tremendo bellissimo, volevo essere l'ultima cosa che guardava al mondo, quando se ne andò, guardandomi negli occhi, non fu lui ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto. La terra che era la mia terra, da qualche parte del mondo, l'ho incantata sentendo cantare un uomo che veniva dal nord, e tu ascoltavi e vedevi, vedevi la valle, i monti intorno, il fiume che adagio scendeva, la neve d'inverno, i lupi la notte, quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra, per sempre, ovunque essa sia. Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando per te e con te quella sera, nella faccia che avevi, negli occhi, io li ho visti, tutti, miei amici amati, quando te ne sei andato, sono venuti via con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal caldo, ho detto addio ai miracoli quando ho visto ridere gli uomini che la guerra aveva fatto a pezzi, ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire quasta nave di dianmite, ho detto addio alla musica, la mia musica, il giorno che sono riuscito a suonarla tutta in una sola nota di un istante, e ho detto addio alla gioia, incantandola, quando ti ho vistro entrare qui. Non è pazzia, fratello. Geometria."

(A. Baricco - Novecento)

mercoledì 23 novembre 2011

Per tutte le volte che non ti conosco

anche ora, fianco a fianco su un palco, ti guardo e guardo una faccia un corpo che si confonde tra tutti gli altri.
non più speciale.
poi, a momenti,

ricordo

e mi ritrovo in ginocchio

lunedì 7 novembre 2011

Enzo Bianchi, il teatro, le albe e io e te che eravamo belli

Non mi ero mai accorta che il "bianchi" che è toccato in sorte a marco dice che anche nella sofferenza si riesce a trovare il bene, si riesce a vedere la bellezza della natura e di certe relazioni.
Non ci avevo mai fatto caso.
Mi sono venute in mente le mie albe, nate un giorno prima e poi tutti quelli successivi alla mia visita-responso a jesi. Mi sono ricordata dello stupore del cuore davanti a certe mattine, e di certi sorrisi tra le lacrime, come traditori, o come stelle cadenti. Dei colori delle albe, di me che le fotografo per non farle andar via.
Mi sono scese giù due lacrime, piccole piccole. Mi sono ricordata di certe relazioni, della loro infinita bellezza. Ho pensato la nostra, la nostra cacchio... era bella... bella bella.
Ma ricordare non serve se non a trattenere. Un giorno scrissi - è stato un onore vivere del tempo con te.
Questo, è stato bello. E io lo ricordo tutte le volte che l'ho davanti.

Marco, quel pezzo, ancora lo sbaglia