giovedì 20 dicembre 2012

semprepersempre


“pronto Mario? Sono Anna. Ti ricordi di me?” (da un verso del nostro ultimo spettacolo)


Nello stanzino che funge da quinta, prima di entrare in scena, scherziamo: mi avvicino a lui con l’aria furbetta – “pronto Marco? Sono Francesca. Ti ricordi di me?” – lui, espressione da stronzetto spocchioso “Mhhh Francesca…. Francesca…. Francesca chi, scusa? Non ricordo…”

Ridiamo.
Poi si entra in scena.


So che non ci posso fare niente. Che va bene così. Che come gli sto vicino faccio le scintille, e a volte le fa lui. Quindi va bene così.
Ma ieri sera, dopo tanto tempo, tornata a casa mi è scesa una lacrimina. Allora ho cercato su youtube “sempre e per sempre” di de gregori, e siccome è troppo bella ho deciso che non avrei più creduto a quella canzone. Però sempre crollo al verso che dice di non credere se qualcuno le dirà che non è più lo stesso ormai.

L’arrivo per cena dell'amico Ciclone&ISuoiGuai mi distrae.

Crollerò, alla fine, stanchissima, a letto – con la casa piena zeppa di rumori e di ombre che si muovono e di presenze che sbattono maldestre tra le sedie e i mobili: mi capita sempre, quando l’assenza di qualcuno quel giorno è troppa da reggere.

Stamattina , bevendo il caffè, mi son girata distratta e pensierosa verso la finestra, e mi si è fermato il cuore, per poi iniziare a saltellare vispo ed emozionato: il cielo a ricordami la possibilità scartata… e dietro quel albero, in quel momento, è accaduto l’incontro più bello del mondo.





martedì 18 dicembre 2012

francescavaincittà


Tutto è
Nuovo

Spaesamento da alicenelpaesedellemeraviglie. E adesso?
Adesso vado. Respiro forte, e spingo il joystick in avanti. Son concentrata sulla strada, su tutti i suoi dislivelli marciapiedi buchette, ma anche su chi mi passa accanto. Se si spostano di lato per farmi passare sorrido e ringrazio. Sento lo sguardo della gente. Più del normale. Ma se voglio andare bisogna che io vada, tiri dritto.
Perciò rimmel e matita nera, rossetto rosso, cappellino intonato al piumino d’oca. …. Possibile io mi senta bene?
Possibile.
Non smetterei mai di sorridere. Anche se la maggior parte delle volte resto seria, concentrata sulla strada, su non “gambizzare” un passante, sui movimenti delicatissimi dell’ipersensibile joystick (ho ancora qualche problema con la retromarcia… soprattutto per uscire dall’ascensore).


-          Fra, siamo in centro, ci raggiungi?

-          Sì, mi vesto e arrivo.

E’ poca cosa, forse, ma poterlo fare davvero, per ora, m’ubriaca.

Non sono ancora arrivata fino al mare. Presto lo farò. Magari in una giornata di sole.
Oggi mi sfido con la coop. Da sola. Faccio la spesa perché ho invitato un amico a cena… anche questo lascia in “stato d’ebbrezza” : fare la spesa.

In tutto questo, non ho mai smesso di pensare a chi non c’è. Senza lacrime o disperazione. Pensare “in attesa”. In attesa di potergli dire

Vieni a fare due passi con me?

Perché, sai, è bellissimo camminare di fianco, e a noi – a me e lui – a pensarci bene, non è ancora mai successo.



mercoledì 12 dicembre 2012

oggi


facebook mi avvisa che oggi è il compleanno di un amico.

mi son svegliata con le ginocchia e anche le anche che non promettevano movimento liscio.

alla finestra grossi fiocchi di neve che in poco già coprivano la balaustra del terrazzo.

bevendo il caffè ho deciso di non piangere.

poi ho deciso di restare a casa, fare la puntura e tornarmene a letto.

poi ho accettato di non avere la più pallida idea di cosa io stia sentendo. o facendo.

poi ho deciso di dire al Regista che per me va bene, a casa mia, la tisana, tutti insieme (o chi ci vuol essere).

e che tanto, per natura, non sarò mai decisa abbastanza per sciorinare no consapevoli e tutti d'un pezzo.

me lo ricordano le ginocchia e le anche. loro, tutte d'un pezzo non son mai state.

poi si vedrà.

c'è un verso di Andrea Gibson che dice  "non hai bisogno di partire per arrivare"

rispunta il sole -

dunque, forse abbiamo tutti un po' ragione.

e forse va sempre bene così come s'è deciso.


venerdì 30 novembre 2012

carboncino


Il carboncino raddrizza i pensieri tristi.
lascia il nero sui polpastrelli che han sfumato i contorni.
nel ritratto non mi ci sono neanche messa.
il maestro di disegno ha pensato di corrermi in aiuto, in realtà stavo con la matita in aria e la bocca semiaperta mentre, guardando la modella, pensavo - che bella che è... 
ecco, avessi potuto, avrei passato il tempo a guardarla.
come si disegna la perfezione?
io non lo so, credo non lo sappiano le mie mani - gli occhi, poi, lasciamo stare: quelli, disabituati del tutto.
ma ci si abitua, no? a tutto, vero? è proprio nella natura... come i rami delle piante al confine con il garage dove facciamo teatro, che i giardinieri non son riusciti a tagliare perchè s'erano abituati alla rete metallica ed eran cresciuti così, abbracciati alla rete. - meraviglia - 
stamattina, salendo in auto, sullo specchietto retrovisore s'era appoggiata una fogliolina. abbarbicata lì, arrivata da chissà dove - l'auto era ancora in garage - o portata dietro da chissà dove. ciao. ho pensato. ti pensavo anch'io. ho pensato. e mi fa piangere pensarlo, mi fa piangere quell' "anche" scorretto.
e l'ho portata con me tutto il giorno, quella fogliolina, anche se poi è volata via ma me ne sono accorta solo all'imbocco del cavalcavia. 
ci sono dei giorni che sulla via gagarin si vede il sole con la luna. è vero, giuro.
alla radio passava baglioni - tu come stai? - ferma al semaforo l'ho cantata a voce alta, stonata.  
non si vedeva la luna oggi, ma neanche il sole.
stasera ho capito che col carboncino posso fare un po' come mi pare. rende bello tutto, se ci sai fare un po' con le sfumature. 
il carboncino corregge i pensieri tristi.
che ti rimangono sui polpastrelli delle mani. 
neri neri.

sabato 10 novembre 2012

1° giorno

Un'amica mi invita a pranzo. Prima di uscire mi metto il rimmel.

- E' una tua scelta
- sì

Andiamo al mare, ristorante sul molo. Non parliamo di lui. Non lo nominiamo mai. Fuori c'è sole e vento. A volte guardo fuori.

- Sei tu che non vuoi essermi amica. 
- sì

Uscite dal ristorante ci affacciamo sulla spiaggia a guardare un gruppo di ragazzi che fa kytesurfing (o come si chiama). Il cielo è pieno di aquiloni. C'è vento forte. La sigaretta si brucia in un attimo.

- Hai qualcosa di mio da restituirmi?
- ho la casa piena - rido mentre mi scendono le lacrime

In libreria il libraio mi fa i complimenti per lo spettacolo. "E quel ragazzo... bravissimo!" - sorrido e distolgo lo sguardo, lo fisso su un libro qualunque. "quando rifarete qualcosa?" mi chiede

- Noi non torneremo più quelli di prima, lo sai no?
- sì

Mi consiglia il libro di Grossman, ne prendo uno di Pennac - Grossman un'altra volta, per carità. Pago e saluto. Il libraio, un uomo entusiasta, mi saluta dicendo "siate generosi! donatevi alla città!"
Gli do le spalle, do le spalle alla città, salgo in macchina in fretta.

- Mi rifiuto di dirti il bene che ti voglio. Ma non sono innamorato di te. Sparire è una tua scelta, non mia.
- sì

Torno a casa, verso sera accolgo mio fratello e la sua ragazza, mi preparo per uscire con loro, metto di nuovo le scarpe, il cappotto, sulla porta mi fermo. "Io resto a casa", dico. Mi guardano interdetti. "Sono solo stanca, niente di che" dico sorridendo. Grazie a dio basta a entrambi come spiegazione. Grazie a dio per la prima volta non insistono.

Ho ancora il rimmel addosso. Prima di andare a letto me lo tolgo. Sì.


mercoledì 7 novembre 2012

allora (è che non ci capisco più niente)


oggi ripensavo al primo anno di laboratorio, nel 2007. ci pensavo paragonando lo stato fisico di allora a quello di oggi. avevo una resistenza incredibile. il Regista mi conosceva a malapena, mi diceva riposati ogni volta che vuoi. non l'ho mai fatto. anche dopo, il recupero - era velocissimo: una notte di dolori e poi basta, passato tutto, fino al prossimo incontro. una sera ha voluto provare degli esercizi con me, credo volesse testare cosa potessi fare. mi son spaccata tutta. gliel'ho dovuto poi dire, e lui non ci ha mai più provato.
quella è stata una delle prime volte in cui mi sono maledetta per aver parlato, per aver detto come stavo.
cinque anni dopo, mi sono ritrovata a parlare con il Regista, a dirgli come stavo. erano i primi di maggio e io gli dicevo che lasciavo il laboratorio. abbiamo parlato e pianto fino all'alba. se n'è andato dicendomi che qualsiasi cosa avessi deciso, avrei fatto male. "se te ne vai disturbi, se resti disturbi comunque" - mi disse. poi se n'è andato.
io sapevo solo che non potevo più starti vicino. che mi stavo logorando pian pianino.
decisi di rimanere ma con una promessa a me stessa: che, pur rimanendo, non avrei più parlato, più mostrato nulla di me - che avrei recitato in tutto, in definitiva. poi, finito quel che c'era da finire, me ne sarei andata finalmente libera.
ho fatto così. a volte son riuscita a rispettare la promessa, a volte sono crollata, ma dio solo sa quanto è stato difficile tenere tutto compresso.
il giorno del tuo incidente ti scrissi un messaggio. diceva "come stai?". a fare una botta di conti neanche troppo difficile ti scrissi più o meno la stessa ora in cui tu venivi soccorso. non te lo inviai. grazie a dio, posso dire ora.
erano giorni che ti pensavo, che mi mancavi in misura feroce, oserei dire. andavo a letto la sera facendo le tacche sul muro: oggi è un altro giorno che non l'ho sentito, diceva la tacca sul muro.
era una resistenza disumana. ora lo posso dire.
poi è accaduto quel che è accaduto. ricordo di aver pensato per tanti tanti giorni: io resistevo e intanto potevo perderlo. un binomio assurdo. assurdi quei giorni.
fare le scale di casa tua, chiedermi ogni volta - faccio bene? o dovrei stargli lontana? - arrivare fino in camera tua e sorriderti - tutto è stato una guerra che mi ha sfinito.
mi muoveva solo l'istinto, in quei giorni, no, lo dico: mi muoveva solo l'amore.
sapevo che una volta tornato in piedi, io sarei dovuta tornare al mio posto.
così è accaduto. hai tanti, infiniti, sottilissimi modi per star lontano e farmi stare "al posto mio" che forse neanche tu li riconosci.
ti ho scritto, oggi. "ti va una tisana e la crostata della mia nonna, che anche se non è vegana però è buona, stasera?"
come è già accaduto, il messaggio l'ho cancellato, e dio solo sa cosa sono i nostri gesti non fatti, le parole non dette, le emozioni soffocate, dove sfociano, dove vanno a morire o a rivivere, come si vestono o travestono, se s'attaccano alle pareti della casa e a quelle del cuore, dio solo sa se è sempre meglio dirle, le cose, oppure tacere, se la paura di parlare è paura di essere poi abbandonati, lasciati lì, o se invece
se invece
se solo si parlasse
allora

martedì 6 novembre 2012

poi


vieni! vieni per una tisana.
per due biscottini o un pezzo della crostata della nonna, che non è vegana però è buona.
questo, ti avrei chiesto stasera.
e poi?
ma poi?
poi niente. e allora mi sono fermata. è come cercare un fantasma. qualcosa che non esiste.
esisteva, forse. forse, una volta.
non più.
e poi?
e poi niente.
allora mi sono fermata.

"But every time I say, "please come back", I feel like I"m trying to find a dirty needle in a haystack, and God knows I can't go out like that."

mercoledì 31 ottobre 2012

as easy as that

due settimane ormai.
ci siamo salutati stringendoci la mano. poi ci siamo abbracciati forte.
mentre guidavo mi meravigliavo di quante persone ci fossero ancora per le strade ma non m'ero accorta che era ancora presto
presto
per tornare a casa.
poi son tornata a casa.
ho messo nel cesto dei panni da lavare i vestiti di scena.
due mesi, sessanta giorni. prove, spettacoli.
ci siamo stretti la mano come due professionisti che si salutano.
poi ci siamo abbracciati forte.
ho chiuso la porta di casa, ho messo in una busta qualsiasi oggetto mi ricordasse il suo passaggio qui.
un tulipano accendigas, un'insalatiera fucsia, la maglietta del suo gruppo preferito, un libro, un passino, una brocca di vetro, due cd, bustine di tisana.
"è stato bello" - gli ho detto con la faccia sul suo collo.
ha sospirato.
poi ho chiuso la porta di casa.
e non sono più uscita.



domenica 14 ottobre 2012

Stanotte ti ho sognato.
Piangevi, ed era colpa mia.
Dicono che nei sogni, chiunque sia il personaggio, è sempre una parte di se stessi.
Non lo so.
Stamattina ti volevo mandare un messaggio: "come stai?".
Non l'ho fatto.
Come un'altra domenica identica a questa.
Il giorno stesso e l'ora appena dopo il tuo incidente, quando ancora non sapevo nulla, ti scrissi un sms. Diceva:
Come stai?
Anche quella volta, non l'ho inviato.
Nel frattempo, son diventata un mostro di autocensura.
Come ieri notte. Uscita da casa tua c'era un cielo pieno zeppo di stelle. Volevo mandarti un messaggio
Esci fuori, guarda che cielo!
Volevo rimanere per sempre in cucina mentre pulivi il fornello, o uscire dalla tua camera da letto e non tornarci mai più, addormentarmi con le fusa di j-lo, o schiavare il mio portone e pensare
A casa, finalmente.
E non ho fatto nulla di tutto questo, ho sorriso fin quando ho potuto, fin quando le ossa hanno iniziato a bruciarmi dicendo
Arrenditi.
Allora in macchina ho urlato, e poi ho vomitato la cena, l'amore perso, quello che non ho saputo dare e che ha lasciato stanchi.
L'avverto, la tua stanchezza di me, l'affetto ormai arreso mentre metto a ferro e a fuoco quello che un tempo ero quello che un tempo eri.
Ho creduto che non sarei mai stata capace di perdonarti l'abbandono.
Oggi credo che io debba perdonare me stessa per non averti saputo amare.
A volte ancora, mentre ti guardo non vista e mi scoppia il cuore, mi chiedo cosa sia l'amore.
Mi torna in mente il verso della poesia attaccata alla vetrinetta della mia credenza
Io non so se l'amavo, ma camminava con me.
Ci sarà un dio qualsiasi che perdonerà le orme che si separano.
E comunque sì, io lo so:
ti ho smisuratamente amato.


lunedì 8 ottobre 2012

can we dance upon the tables again?




Mi sveglio con questa in testa. Sono andata a dormire con una falena che sbatteva nella lucina dell’abat-jour e ti ho sognato. Ti ho parlato una notte intera. Tu ascoltavi e non te ne andavi. Era la prima volta.

Adoro guardarmi passare con te vicino, riflessi nelle vetrine. L’ho scoperto ieri. Non lo sapevo. Non lo sapevo che guardo le vetrine non per quello che c’è dentro ma per l’immagine che riflette.

Io, così tanto, credo di non avere mai amato.

Capirai, poi, come io non abbia così tante parole da aggiungere. Mi basta sognare.

sabato 22 settembre 2012

tuttavia, le cose vere.


"Io e lei abbiamo un gioco segreto - ci scriviamo di nascosto da noi stessi. Parallelamente a quello che diciamo e viviamo insieme, ci scriviamo, come se fossimo noi due, ma una seconda volta. Di quel che scriviamo in quelle lettere - bigliettini - non parliamo mai. È lì che ci diciamo, tuttavia, le cose vere."

E' finita anche questa. L'ora è tarda. Sono stata la prima ad andarmene. Non me ne sarei mai andata e non avrei, al tempo stesso, sopportato vederlo andarsene.
Così me ne sono andata via per prima.

Sul finale siamo in fondo, attaccati al muro. Dobbiamo far finta di parlarci. Quello, però, è il momento in cui lui parla veramente. Non ci sente nessuno.
"Dove vai? Vienimi vicino. Vieni vicino. Non mi stare lontana mai più"

Poi, dobbiam smettere di "parlare" e dobbiam stare fermi immobili.
Allora scatta la sfida.
"Vediamo se reggi il mio sguardo" mi dice.
Stasera non gli ho staccato gli occhi dagli occhi. Poi, tremavo.

"Non so se sapesse cosa stava facendo, con i nostri occhi."

(A. Baricco - Emmaus)

martedì 11 settembre 2012

cosa piove dal cielo?

"Lei è stata convocata al corso di formazione specialistico in bla bla bla presso bla bla bla il bla bla bla"

mi sale il sangue al cervello.
oh ... zzo! e adesso??!!

- pronto, regista? ciao sono io. volevo dirti... ehm... volevo dirti... che io non ci sarei per la prima... mi hanno convocato fuori città -

- pronto amico? ciao sono io. volevo dirti... ehm... volevo dirti... che io non ci sono per il concerto dei radiohead, puoi piazzare il mio biglietto a qualcuno? - 

in realtà...



...non potrei essere più felice di così.

come qualcosa caduto giù in tempo in tempo dal cielo (come la mucca nel film "cosa piove dal cielo") - in tempo in tempo per darmi la sensazione di poter respirare di nuovo - di, in qualche modo, esistere, avere un posto, avere coraggio.
andare, in definitiva.
prenoto: albergo in centro duomo a milano, faccio programmi col mio collega sui negozi dove andare la sera dopo il corso, penso: oggi vado a comprarmi - da sola - un mp3.
ci metto tutto il coraggio che avevo, che non ho, che non trovo più, che ritrovo, in quel "da sola".

niente prima di teatro, niente concerto per me. mi hanno chiesto di fare altro:

penso alla valigia -  e sorrido.



giovedì 16 agosto 2012

Di ritorno dal laboratorio. Ultimo giro prima di rientrare a casa. La radio passa Luigi Tenco. Mi sono innamorato di te.

Stasera in scena abbiamo dovuto ballare un lento. Il regista ce lo chiede titubante.

Ci siamo avvicinati spaesati. Con paura. Non mi toccava. Gli ho messo le mani attorno alla vita. Ho appoggiato piano la testa sul suo petto. Ho sperato che da così vicino non sentisse il mio cuore che andava velocissimo.

- Chi sorregge chi? - mi ha bisbigliato lui.

- Io - gli ho risposto - io sostengo te.


lunedì 30 luglio 2012

"ogni cosa è illuminata"



Come stai?

La finestra s’apre su un albero. O è l’albero che s’apre sulla finestra. Non riesco a capirlo. E’ una bella stanza. Glielo dico. Sopporto a stento il suo viso che si contrae nelle contrazioni di dolore. La mia amica-sorella. Troppo pallida tra le lenzuola ancor più pallide.
M’affaccio e scatto. E’ uno sfumato di blu e bianco e nero. Va bene così: sfumato.
Molto nitido il ricordo di appena pochi mesi fa. Odori più o meno uguali. Cuore gonfio. Pareti color del ‘va tutto bene, forse’.
Non doveva riaccadere. Ma poi, chi lo dice, chi lo decide quali sono i disegni alti? Sfumati anche loro come i miei scatti fuggevoli e vigliacchi. Che troppo non vedono, o non vogliono vedere. Però, non doveva riaccadere di nuovo. 

Un amico mi ubriaca di sambuca ghiacciata e parole fino alle due. Penso – devo alzarmi presto domani mattina. Poi lo penso mentre controllo le ore guardando fuori dalla finestra spalancata sulla    a breve non-più-notte-quasi-alba     della via.
Devo alzarmi presto domattina mentre domattina arriva implacabilmente lenta – resto nella terra di mezzo di un libro che racconta della tristezza e dell’amore .

Perché non dormi francesca perché quest’occhi spalancati questo cuore che va a mille come mai non riesci a leggerti neanche un po’, perché
perchè se c’è
se mai ci fosse una preghiera
è suo, il nome che ti viene nella preghiera?

E’ per me che prego forse. Che ho avuto paura e non ho saputo a chi dirlo.

A lui, volevo dirlo.

Chiamarlo nel cuore della notte – ho paura Marco – dirgli.

Come una volta, quando tutto era intatto, e nel mezzo della notte ci mandavamo messaggi con dentro le nostre paure.

Paura d’amare

Paura d’essere amati

Paura di avere paura

Paura di vivere

Paura di morire

Paura della tristezza

Paura di non essere tristi abbastanza

Paura di parlare

Paura di non saper dire

Paura di essersi scordati come si fa a pregare

Paura di ricordarselo.


Paura di essere soli.

Dove siamo, noi, che ci mandavamo le paure su schermo, e di giorno ci sorridevamo spavaldi?

Non ti lascerò mai non ti lascerò mai non ti lascerò mai non ti lascerò mai non ti lascerei mai non ti lascerei mai non ti lascerei mai non ti lascerei non ti non




sabato 21 luglio 2012

forse sulle scale

Gliela lascio sulle scale?

 Poi mando un sms, magari, fai venire a prendere da qualcuno il pacco che
 ho lasciato sulle scale.

 Cosa scrivo nel bigliettino?

 Per Marco. Buon inizio!

 Oppure in inglese… for your new life!

 Mi firmo fra… fra e basta. Ti voglio bene non lo metto.



 Grazie ma non la posso accettare. Oppure telefonata con tono imbarazzato
 ehm… grazie franci… grazie…



 Tu lo conosci, conosci i suoi gusti – mi diceva ieri la mia collega
 davanti a un ripiano pieno di t-shirt.

Mi si stringeva il cuore.
L’esaltazione disperata di scegliere qualcosa per lui.

Che non ha voluto me.



Che io sia andata a trovarlo.

Che io non fossi affatto andata a trovarlo.

Che io gli abbia chiesto come stai?

Che io non me ne fossi mai interessata.


Che io gli abbia comprato una maglietta.


Che io non gliel’avessi comprata.

Ci sono i miei colleghi, io silenziosa faccio il mio solito copincolla,

è la congiuntivite, sì sì, la congiuntivite, direi, senza sapere come
fingere, in che modo poter recitare la parte, né perché dovrei farlo oggi…


ma domani piove…

forse , prima della pioggia, gliela lascio sulle scale…

martedì 10 luglio 2012

il primo uomo sulla luna

Oggi ha fatto il suo primo passo.
Racconta di essersi commosso.
Lo racconta in una mail di poche righe a noi del teatro.
Mentre leggo, mi commuovo anche io.

"felice con te, t'abbraccio molto forte"

Poi invio, e invece però:
invece io non volevo scrivere, io volevo davvero abbracciarlo forte, trovarmelo di fronte in piedi, che il cuore si commuovesse alla vista.

Quando dopo quattro mesi di cura e quasi un anno di malattia i miei esami sono finalmente stati positivi, mi sono sommossa anch'io, e ho preso il telefono in mano e
e volevo fare il suo numero, e non l'ho fatto. Volevo dirglielo, che stavo bene, che era tutto a posto. Non l'ho fatto.
Sono contenta - per tutti e due - che lui invece abbia potuto scrivere il suo primo passo e io abbia potuto leggerlo.

Stasera faccio le prime prove con una danzatrice, per una performance a due. Non sono proprio in forma, e le prove di stasera saranno tostine. Saranno passi faticosi, alcuni saranno un po' dolorosi, la ricerca dell'armonia e della fluidità sarà continuamente impedita da 'sto strambo corpo mio...
Solo che, nessuno lo sa,  ma qualsiasi danza verrà fuori, qualsiasi passo riuscirò a fare, qualsiasi movimento fatto in qualsiasi modo, qualsiasi "prova di volo" e poi, infine, me sul palco,  è dedicato a lui che oggi cammina.
                                           
                                                               "giuro che lo farò"

lunedì 2 luglio 2012

e così

è iniziata la mia settimana di ferie.
troppo caldo per pensare di mettere il naso fuori di casa.
un paio di sms e telefonate senza risposta.
ah, ho fatto fisioterapia.
davanti a un internet troppo vasto per sapere cosa cercare. la voglia frustrata di cercare segni di lui dappertutto. ma sono stata così fermamente, duramente saggia da, un giorno, cancellare qualsiasi probabile contatto, ed ora rimango qui senza segni senza tracce.
su youtube metto canzoni. ... no, ne metto una sola, a ripetizione. lascio che un pò faccia male. a breve sbuccerò un cetriolo sgranocchiandolo davanti alla tv. lo decido mentre salvo in bozza l'ennesima mail leggera-con canzone-che non ti devo dire niente al massimo come stai?- ma non te la manderò.
ho bisogno di stare dentro al mare fino a che i polpastrelli non mi si raggrinziscono, di fare la "spesa grossa" e mettere in frigo bottiglie e bottiglie di qualsiasi cosa potrò offrire a chiunque suoni al campanello di casa, di ridere che ti gira la testa e ti fa male la pancia, di avere addosso il vestito più bello del mondo e il rossetto più rosso del mondo e gli occhi più brillanti di tutti, di salire le scale di casa sua, dirgli:

ciao, è vero... è vero che mi vuoi bene come prima?


giovedì 28 giugno 2012

Perchè a me, trovarmi davanti casa tua, mi mancano le parole

Missing someone isn't about how long it has been since you've seen them or the amount of time since you've talked. It's about that very moment when you're doing something and wishing they were right there with you.




venerdì 15 giugno 2012

tra la cucina e il tavolo che sto apparecchiando

non vedo l'ora di mettere la tovaglia rosa che mi hai regalato e che non ho più usato, e aspettarti per cena... tra qualche mese... quando potrai di nuovo camminare, arrivare fino a casa mia, e io ti aprirò la mia porta, e ti sorriderò come non ti ho mai sorriso.... intanto cucino per me, ascolto polly jean, e mi scappa un sorriso.

domenica 10 giugno 2012

and tell you about the tv program i saw the night before

vado in punta di piedi. sottovoce.

poi, rido troppo.

è un riempimento di vuoti.

è che. che non ho più le parole. anzi, non ne abbiamo.

prima...eh madonna!

"allora... niente (quanto c'è in quel niente? di certo, tutte le mille mila parole congelate tra la lingua e i denti)... come stai?"

è un bollettino scarno, essenziale, ridotto all'osso. qualche dolore, valori sballati.

"hai voglia di qualcosa, che ti posso portare?"

"ho tutto quello che mi serve" già mi taglia fuori come un coltello che taglia una fettina di carne tenera tenera.

poi rido tanto.

tra una frase vuota e l'altra.

lui no.

allora chiudo in fretta.

allora... ciao.

ciao.


son sempre stati velocissimi i nostri congedi. questo, non è cambiato. avevano dentro una specie di strappo violento e veloce. come quando ti fai la ceretta.


ciao.


resto sciocca, col telefono in mano, a piangere nel sentirmi così perfettamente stupida, perfettamente inutile, perfettamente incapace.


quanto parlavamo, una volta. madonna.

giovedì 24 maggio 2012

Lasciar libere le sedie

(Se mi chiedessero

-          Sì ma tu chi sei? – )


M’appoggio al termosifone, accanto al suo letto, ci sono sedie libere tutt’attorno eppure non riesco mai a stare seduta. Assecondo la tensione interna e la trasmetto ai muscoli delle gambe – che almeno mi reggano in piedi, se proprio ‘sti muscoli devono lavorare.

Ogni volta che entra qualcuno mi “spiaccico” bene bene alla parete – scusate, faccio posto, lascio spazio, non voglio rubarne prego avvicinatevi.

Ma tu chi sei?

Io…

Io niente…

Io ero…

Io adesso… un’amica – ecco sì, trovato: un’amica, e lo posso dire sorridendo cordiale – sono un’amica di Marco ma scusate adesso mi posto eh? Che capisco… io … torno a trovarlo un altro momento…

Io faccio posto.

Lascio spazio.

Mi tremano i muscoli delle gambe, sorrido cordiale.

Faccio posto.

Mi scanso.

Solo quando mi stringe la mano forte, solo in quella frazione di secondo lì:     ricordo:

io ero….

io sono…


martedì 22 maggio 2012

quando, dicono, si è bravi

Passare i giorni a fare le tacche sul muro. con le unghie. attendere l'arrivo della sera - stremata - per andare a letto indossando la vittoria di carta velina dell'aver resistito a cercarti.
brava
brava
sei stata brava
e i messaggi in bozza rimangono larve che non nasceranno mai - come stai? ti vanno un gelato e due passi? andiamo a bologna sabato pomeriggio?

brava
brava
sei brava

a fare cosa? a stargli lontano? - m'accartoccio sotto le coperte aspettando di vederlo in sogno - che poi no, non lo vedo mai neanche lì, lo cerco sento la voce ma non riesco mai a vederlo.

e poi...

e poi svegliarsi una mattina e leggere una mail notturna, poche righe, terribili, agghiaccianti, correre in ospedale, fermarsi sulla soglia della stanza






stringere la tua mano bianca bianca, riempirla di bacini, sorriderti mentre tremo, guardarti e guardarti e guardarti, pensare - come ho potuto?
come ho potuto starti lontano.

la tua mano che stringe forte la mia mentre l'infermiere ci fa uscire tutti:
mi basta. ci vediamo domani.

domenica 13 maggio 2012

al suo orecchio un segreto confidò

Non trovo mai la mia fotografia preferita.
Appena prima di entrare in scena, io seduta sulla carrozzina tu inginocchiato davanti a me mi allacci una scarpa.
Qualche burlone ci ha immortalato.

Devo averla nascosta bene bene da qualche parte...


"ciò che entra in testa
per sempre resterà
sia questa la tua festa
nel tempo che verrà"

giovedì 3 maggio 2012

una nostalgia di imperfetto

E' solo questione di abitudine o starò sempre male, dopo?

Cigolano le ginocchia, ululano i muscoli, le gambe reggono a stento. molto dolore.
Colazione di caffè e tachipirina. che funzioni alla svelta. mi aspettano scatoloni da fare, nell'ufficio in dismissione: polvere e carta e cose da buttar via senza neanche guardare cosa sono, in mezzo capitano documenti importanti, ma che gusto farli volare nel cestino assieme a tutto quello che importante non è.

cosa vede un occhio esterno?

due donne attorcigliate su una carrozzina? una donna molto bella e una donna molto brutta? l'occhio e il cuore di chi guarda si divide in due tra ammirazione e commiserazione?
Eppure che gusto muoversi in danza con una vera danzatrice.
ecco, quando dico "il meglio di me", questo è uno di quei momenti. in cui torna tutto a posto, lo sforzo vale il risultato, il dolore è direttamente proporzionale alla soddisfazione finale.

cosa vede l'occhio e il cuore di chi guarda?

ho agito in un silenzio sacro, in una lentezza seria e concentrata: piano ho arrotolato le maniche a scoprirgli le braccia e le spalle, i calzoncini a scoprirgli le cosce, gli ho passato le mani dappertutto, iniziando dalla schiena grande e forte, le spalle, poi giù giù, con delicatezza l'ho spinto in avanti. si lasciava fare. poi le braccia nude, tutte, chinandomi in avanti ho respirato i suoi capelli, il sudore buono della danza di poco prima, poi il collo, il petto, la pancia - silenzio, dolore forte, mani dolci, zero paura - gli ho alzato una gamba, fatto appoggiare il suo piede sulle mie cosce, gli ho sfilato i calzetti, pieni nudi - mi ha detto qualcosa, stai zitto - gli ho risposto. ho passato le mani sulla sua gamba, il polpaccio, il piede - dolore forte, muscoli che tremano, respiro affannato, mani dolci.

cosa vede l'occhio, cosa sente il cuore?

ha rabbrividito. ho staccato le mie mani.
ti do fastidio?
non risponde, resta in silenzio.
rabbrividisce di nuovo.
ti do fastidio?
mi guarda serio, quasi rabbioso - è solo un brivido, solo un brivido - lo ripete rabbioso, come infastidito di quel brivido sfuggito.
non ho mai toccato il corpo di un uomo che amassi, mai così tanto, non ne conosco le azioni nè le reazioni. la non conoscenza mi lascia insicura, impaurita.
l'ho scitto sul muro, la fronte a premere forte contro la parete fredda, le dita delle mani che prima andavano piano su quel corpo d'amore, a scrivere - adesso - me, me sola, me e basta, me lasciata lì, me senza, me con lui a pochi passi da me, distante e vicino, così vicino da essermi addosso.

"che t'amo forte t'amo"
"che t'amo forte t'amo"
"che t'amo forte t'amo"

dopo, li ho guardati ballare, corpi perfetti che ballano sciolti nel finale di tre ore di lavoro.
ho provato una nostalgia strana, brama di chi guarda da dietro un vetro, di qualcuno a cui non è concesso.

eppure, eppure, ho pensato, se ami, se  mai amassi, questa me imperfetta e goffa e dolce, se solo l'amassi, proveresti nostalgia, nostalgia in mezzo a tutti gli altri corpi che si avvicinano
si avvicinano, ti ballano intorno, e sono bellissimi, e sono perfetti, ma non sono me.

martedì 24 aprile 2012

posti


Io, ogni volta che vengo a Pesaro sbaglio strada

La stagione e l’ora non prevedono anima viva. Angolo di acqua e cielo, rumore di mare “grosso” che sbatte e sbatte, cielo grigio sempre, cerco voli di gabbiani, pace alla guerra, mi parla l’acqua, il cielo che copre il sole, scrivo le mie lettere migliori, i miei migliori messaggi, le mie migliori intenzioni con gli occhi riempiti di acqua e di cielo, di orizzonte sfumato, di voli difficili da prendere, mentre il meglio finisce sempre in quel punto lì, nell’attimo di smarrimento davanti al tutto che cerco, che sono andata lì a cercare, resto lì basita e in bilico, lo sguardo ormai perso dietro… dietro a cosa non so, allora respiro più forte, respiro il vento che punge, l’odore dell’inverno, la stranezza di questa ora senza nessuno attorno, il senso di essere soli.

Mi sono sentita forte solo quando un giorno sono arrivata lì, ho respirato e ho scritto. Il  silenzio forte, immediatamente dopo,  mi ha fatto fuggire desolata da tutto quel cielo indifferente.

 



Le mie migliori intenzioni, la mia migliore me, tutto cerco dentro quel paesaggio al quale mi paro davanti, come una tana che non offre rifugio, è troppa infinita quest’acqua troppo infinto questo cielo, a tratti fa sentire me persa, come se non ci fosse posto. Eppure, sempre, ogni inverno, ci torno.

(Listening to Nick Cave and the Bad Seeds : To be by your side)



Io, ogni volta che vengo a Pesaro sbaglio strada, prendo sempre quella

E poi c’è una strada, uno stradone, sempre diritto, talmente lungo che a volte, di notte, mi sembra di aver sorpassato il punto giusto dove girare e penso E adesso? Come torno indietro? Se non cambio direzione fin dove arrivo?

Mi meraviglia sempre quella strada, mi meraviglia quello che mi fa trovare mentre la percorro, un improvviso campo giallo di girasoli a destra quando è estate, un tramonto  rosa e arancio, nuvole che disegnano paesaggi appena sopra la testa, mi accorgo che ogni volta che la imbocco cerco una canzone che mi piaccia particolarmente, che mi dia l’idea di viaggio lungo, anche se lungo non sarà, e supero sempre il limite di velocità consentito.

Un giorno il cielo era viola livido, si chiudeva sopra di me, si ammassavano nuvole rabbiose, tutto era quieto, neanche gli alberi e le foglie si muovevano, io guidavo e mi sembrava di andargli incontro, come se prima o poi, fossi andata più vicino, mi avrebbe inghiottito. Ho avuto paura. Ho raggiunto il semaforo che fermava la mia corsa e il cielo era di un colore che non avevo mai visto, e ha iniziato a grandinare forte, a secchiate, e il rumore dell’acqua e del ghiaccio che scendevano giù violenti copriva tutto, i tergicristallo andavano a velocità massima eppure non riuscivano a spazzar via quel muro d’acqua che mi cadeva addosso. Ho avuto paura. Un camion si era appena scontrato con una macchina e tutti erano in strada e da  fuori si sentivano le bestemmie del camionista e io avevo paura e fretta di arrivare, io avevo fretta di arrivare, e così ho continuato a guidare, col cuore che batteva forte di spavento e di fretta.

La faccio ancora, quella strada, la faccio spesso, in qualsiasi stagione o clima, è una strada che mi porta da persone care, forse le più care della mia vita… sembra quasi che per arrivare a loro io debba fare solo quella strada lì. E sempre, sempre mi sorprende, sempre mi piace, sempre la attraverso spinta da sentimenti d’amore, e sempre, ogni volta che la prendo, ogni volta mi torna in mente quel giorno e quell’ora e il colore livido di quel cielo e quella paura e quella fretta di arrivare dove dovevo arrivare.



(Listening to Antony & The Johnsons: Mysteries of Love)



Io, ogni volta che vengo a Pesaro sbaglio strada, prendo sempre quella per casa tua

Il mio posto è il terrazzo di casa mia. E’ da lì che guardo. E’ lì che è accaduta la mia vita migliore, la mia vita più forte.  Questo spazio piccolo, a metà tra il non più dentro e non del tutto fuori. Il posto dove ni viene naturale tutto, dove mi ritrovo e cerco quando sento tutto perso.

E’ da qui cerco: un rettangolo di mondo fotografato e impresso, quasi un quadro, sempre uguale sempre diverso.

Ho giocato a chi sputa i semi di cocomero più lontano con gli amici, ho aspettato qualcuno a cena, ho passato notti a fumare sigarette, con la luna sopra la testa e poi l’alba che era troppo tardi per andare a dormire… L’alba – quel momento di luce trasparente dove tutto è possibile, da aggrapparcisi con il pianto in gola, l’alba da sperare e da trovare, l’ho fotografata mattina dopo mattina, mentre la stagione cambiava, era il mio dialogo tra muti: buon giorno Francesca, buon giorno, vedrai!

Ci ho creduto, a quelle albe guardate appoggiata allo stipite della finestra, un piede fuori uno ancora dentro.

La mia migliore me, in quel quadrato sospeso sulla via: quella volta che ho ascoltato, quella volta che ho riso, quella volta che ho confessato, quella volta che ho aspettato, quella volta che ho pianto forte, quella volta che ho fatto silenzio, quella volta che non mi sarei mai più mossa da lì.

Quand’ero piccola la domenica il nonno mi portava al campo della Lupo, dove c’erano i ragazzi grandi che giocavano a basket, mi faceva sedere sulle gradinate e mi dava una coppetta di panna montata.

Ci hanno costruito un condominio, sul campo della lupo, e quando cercando casa sono entrata qui, c’è stata subito una cosa che mi ha fatto scegliere questo posto: il suo terrazzino, sospeso sulla strada dove una volta c’era il campo da basket, e da dove ancora si sentono i bambini che giocano di pomeriggio dopo i compiti.

Vedi nonno, sono tornata, è questo l’unico posto, l’unica strada giusta – non una deviazione, non un momento sovrappensiero, un lapsus da correggere: io sono esattamente dove dovevo essere.

          




(Listening to  De Andrè: Hotel Supramonte)




domenica 15 aprile 2012


E se ti copro o mi copro, mi faccio tutta un abbraccio, m'abbasso di silenzio, reclino fino al limite opposto di te, mi faccio dentro senza lasciarti fuori; se avvolgo poi quello che avrei potuto - io con te - ma senza scordare avvolgo, senza attesa con acqua e sole e vento e poi con tutto quello che viene, dopo.

domenica 8 aprile 2012

Pasqua

Il cameriere diventa bello quando sorride. Aspetta che ci alziamo da tavola per dare la mano al bà alla mà e a mio fratello augurando Buona Pasqua. Io mi alzo a testa bassa, studio il percorso alternativo tra i tavoli per poter svicolare dall'imbarazzo della stretta di mano, ma lui mi attende fermo in piedi, è davanti a me e sorride. La sua mano è calda e ferma, non ha paura, ha lo slancio poi di darmi due baci, sorride dolce e io non lo guardo mentre lo ringrazio.

Al distributore di benzina davanti casa dei miei un signore in motorino chiede una carta da cinque, ha la mano piena di spiccioli. Guardiamo ognuno nel portafogli. Nessuno di noi ha una carta da cinque euro. Il bà, non so perchè, insiste che gli dia tutti gli spicci che ha trovato nella tasca della sua giacca e che mi ha fatto scivolare sulla mano. Così, con la mano piena di monetine apro lo sportello della macchina e trovo la mano aperta del signore davanti a me. Non lo guardo, mi concentro su quella mano, stando attenta che le mie dita maldestre non facciano cadere a terra qualche moneta nel passaggio dalla mia mano alla sua. Da sopra la mia testa la sua voce mi dice, col palmo aperto pieno di spiccioli, "non mi servono le monete, le ho: mi serve una carta da cinque".
Di nuovo, senza alzare gli occhi da quella mano, riprendo una a una tutte le monetine che gli ho appena dato, le mie dita sfiorano il suo palmo, ha la pelle fredda e morbida, ha l'unghia del mignolo molto lunga e gialla.
Mi dispiace, vorrei dirgli, mi dispiace, ma non dico niente, e con il pugno chiuso stretto stretto sugli spiccioli del bà richiudo lo sportello della macchina e parto.


Vola basso basso, sulla superficie dell'acqua, piove a vento e alle mie spalle c'è il rumore di acqua agitata. Non riesco a fermarne il volo, la telecamerina del mio cellulare ha un tempo di scatto troppo lungo, e già è passato e se n'è andato, una donna chiama forte "john vieni qua!"  chissà, forse è un cane. Anche il mio tempo di sguardo è troppo lungo, e dallo specchietto retrovisore già non vedo più nessuno.

Intanto continua a piovere, e intanto continua il rumore di acqua mossa, intanto continua a non esserci nessuno in questa ora e in questo angolo di mare, mentre rimango ad aspettare voli da afferrare e fermare in quadro, mentre le gocce sul vetro sgocciolano giù piano. Finchè riesco e lo trovo, aspetta aspetta aspetta vorrei dirgli, vola un pò più piano per favore, o vienimi vicino, ma lui non vola piano, nè mi vola vicino: è il vento che lo porta e lui si lascia portare, ed è la pioggia che lo bagna e lui si lascia bagnare. E lascia me, con l'obiettivo in mano, benevolo nel suo volo libero, lascia prendersi per un microsecondo, quando alzo lo sguardo già non c'è più.

Mi basta quell'attimo, il particolare piccolo, piccolo eh, ma afferrato, fermato in qualche modo, in una stretta di mano, in un pugno pieno di monetine e in uno scatto lento lento.

Mentro torno a casa penso con sollievo che seppur abbia dimenticato di innaffiare le primule ci ha pensato la pioggia, e mentre penso a questo giorno benevolo penso a te, senza fretta o confusione, e mi s'allarga il sorriso, e canticchio piano una canzone, sbagliando le parole, chè io lo spagnolo mica lo so!



domenica 25 marzo 2012

de finire

L'amore del mio uomo
non vorrà definirmi o etichettarmi,
mi darà aria, spazio,
alimento per crescere ed essere migliore,
come una rivoluzione
che faccia di ogni giorno
l'inizio di una nuova vittoria.
(Gioconda Belli)

L'hai fatto di nuovo. Mi hai definito guardandomi con gli occhi annebbiati dalla paura dell'amore. Mi hai scardinato osso per osso, nervo per nervo, mi hai tolto la pelle e l'anima tutta. Ti sei permesso di non guardarmi ed usare parole cattive.
A una persona innamorata non si indirizza nulla di cattivo, nulla che faccia male, si sta già facendo male da sola, si sta già scardinando da sola osso per osso, nervo per nervo.
Non salvo nulla di te, della tua paura, delle tue parole, del tuo sguardo: hanno fatto male.
Salvo il mio amore per te, la pulizia dei miei sentimenti, la meraviglia delle mie parole per te, la forza che ha avuto questo amore. La salvo per me, per non trovarmi del tutto scarnificata, per camminare in mezzo alla gente, continuare a respirare, incontrare... vivere.

Io ho perso.

Ma hai perso anche tu.

martedì 6 marzo 2012

and you might think i'm crazy but




....e a pensarlo.. a pensarlo, che paura. a dirlo, poi. a pochi. ai più faccia da dura testa alta sorriso cinico, sguardo sprezzante. ciglia piene di rimmel bocca rossa -  maschera rinnovata, meglio non so fare. molto, non so dire. aspetto di essere lontano da te almeno passi sufficienti per piangere sola. mi nascondo che ancora è buio e si può, la fatica .... che fatica... che fatica!
a dirselo, prima di andare a letto, nell'abitacolo della macchina, l'istante in cui lo sportello sbattendo chiude furoi il mondo "mi manca... mi manca..." accendere una sigaretta e mettere in moto... rimanere in moto, ferma a letto per troppo tempo, ora è passato, sei passato, faccia dura sorriso cinico, "sì, sì, lo lascio andare"... lo lascio andare... potrei svenire di vertigine dal vuoto che lascia una frase del genere... non lo dico, non lo penso... a dirselo, di notte, al buio.... che paura. 


sabato 25 febbraio 2012

e tu arrivi con una torta appena fatta (vegana sì sì, però buona!) e mi parli sottovoce.
e io ti scrivo mail senza saperti dire quello che vorrei dirti
e tu mi mandi canzoni da scaricare e mi porti cd da copiare sul mio pc.
e io a teatro ballo, e tu ti avvicini ma non osi, e io mi allontano ballando.
e io quel giorno ho sorriso poi pianto poi sorriso di nuovo.
"oggi sono felice, e non sapevo come dirlo. ciao, fra"
e tu mi rispondi alle due di notte e io non capisco se sei felice anche tu.
e io ti vedo arrivare in punta di piedi poi piano mi dici che "lamedancer è tornata"
allora io scatto albe del nuovo giorno della mia vita,
ti saluto con la mano e ti porto con me
e forse tu non ci sarai, e va bene uguale, perchè alla fine io quello che ti dovevo dire te l'ho detto, perchè alla fine so che saremo abbastanza forti e intelligenti per assolverci, perchè sono rimasta sola e sì sì ho avuto paura, e mica non ne avrò più, però... però il referto medico parla chiaro: e non sei stato tu e non sono stata io , è successo e basta, e adesso la malattia s'è fermata, allora io adesso

io adesso vado
se giri un pò lo sguardo mi trovi:
son lì, che danzo.

I will return here one day
and dig up my bones from the clay
I buried nails and strings and hair
and that old tooth I believe was a bear's

I held my hand in the fire
it burned me down to the wires

blood suckers hide beneath my bed
And black fumes of skin so gently bled
I slept with a cat on my breast
slowing my heart stealing my breath

at sunrise the monkeys will fly
and leave me with pennies in my eyes

I will return here one day
and dig up my bones from the clay
I buried nails and string and hair
and that old tooth I believe was a bear's

at sunrise the monkeys will fly
and leave me with pennies in my eyes

domenica 5 febbraio 2012

snowing on absence



La neve copre, e sembra che sotto non ci sia più niente. Ma non è vero.
Non è vero, amico bello e lontano. Non ci credere mai.


martedì 17 gennaio 2012

Mr Gwyn e pensieri in ordine sparso (l'amore ritrovato)

"Rebecca pensò che quell'uomo la amava, solo che non lo sapeva, e non lo avrebbe mai saputo."

O. parla al telefono - quando ha iniziato a squillare, nel caos del ristorante all'ora di pranzo  mi ha fatto prima vedere lo schermo dove compariva il suo nome. La tazzina di caffè tremava un pò, caffè d'orzo lungo, mi guardavo intorno, quando ha detto "sì te la saluto" ho allungato d'istinto una mano verso il telefono, d'istinto ho detto "passamelo", un filo di rabbia nella voce ma forse era solo voglia di piangere. La sua voce dopo quasi un mese, scherzavamo sulle nostre ultime parole scritte, ci prendevamo in giro, ridevamo, ho adorato restare in quella risata continua e calma.
"cosa fai?" era la domanda più irrilevante che potessi fargli, ma lui mi ha risposto:
vado a bologna con L., andiamo in giro per negozi e poi al cinema a vedere un film in lingua originale.
la mia voce mantiene l'aplomb lontana di una vecchia amica - "che bello!" - vorrei solo mettermi a piangere mentre premo forte una mano sull'orecchio per nascondere i suoni del mondo intorno, premo troppo, mi faccio male.
mi chiede se mi serve qualcosa da bologna, so che la voce mi si sta spezzando allora rido soffocata, prendo fiato, lui continua "dalla feltrinelli international?" - io premo forte forte la mano sull'orecchio, devo trovare un dolore che superi l'altro, distrarmi dal ricordo di noi due che ci aggiriamo alla feltrinelli uscendo da lì pieni di libri in inglese.
"no, no grazie"

in questi giorni non sono i ricordi spietati - quelli che tengono in piedi ripetendosi mai più - ma quelli dolci, ad arrivare alla memoria accompagnandomi nelle ore nei minuti nei giorni di questo mio tempo. sono le mani nei capelli, gli abbracci, gli sguardi, gli occhi dritti negli occhi.
mi viene da pensare: come si può fuggire con così tanta tenacia e spavento se non si è provato qualcosa di molto forte?
in questi giorni, non riesco a credere nel non amore, smontando tutti i mesi che sono passati, mentre convincendomi del contrario ricostruivo una casa crollata.
poi, mi capita un libro che parla esattamente di questo. come ho già detto, ieri ho lasciato che fino all'ultima riga mi ribaltasse dentro, ribaltasse tutta la costruzione, tutta me, tutti i pensieri, tutto il "lavoro".
l'ho riposto con cura nella libreria, non appena finito, un gesto veloce e pulito, il dorso della copertina con quel suo colore così neutro da sembrare quasi invisibile.

"Si alzò e cercò un gesto da fare. Qualcosa di semplice. Prese a riordinare i libri che giacevano un pò dappertutto, in giro per la casa. Intanto pensava alla tardiva dolcezza di Jasper Gwyn, rigirandosela nella mente, nel piacere di osservarla da ogni lato. Lo faceva nella luce di una felicità strana, che non aveva mai provato, e che pure, le parve, aveva portato con sè per anni, aspettandola. le sembrò impossibile essere riuscita a fare altro, in tutto quel tempo, che custodirla e nasconderla. Di cosa siamo capaci, pensò. Crescere, amare, fare figli, invecchiare - e tutto questo mentre anche siamo altrove, nel tempo lungo di una risposta non arrivata, o di un gesto non finito. Quanti sentieri, e a che passo differente li risaliamo, in quello che sembra un unico viaggio."
(A.Baricco - Mr. Gwyn)