oggi ripensavo al primo anno di laboratorio, nel
2007. ci pensavo paragonando lo stato fisico di allora a quello di oggi. avevo
una resistenza incredibile. il Regista mi conosceva a malapena, mi diceva riposati
ogni volta che vuoi. non l'ho mai fatto. anche dopo, il recupero - era
velocissimo: una notte di dolori e poi basta, passato tutto, fino al prossimo
incontro. una sera ha voluto provare degli esercizi con me, credo volesse
testare cosa potessi fare. mi son spaccata tutta. gliel'ho dovuto poi dire, e
lui non ci ha mai più provato.
quella è stata una delle prime volte in cui mi sono
maledetta per aver parlato, per aver detto come stavo.
cinque anni dopo, mi sono ritrovata a parlare con il Regista, a dirgli come stavo. erano i primi di maggio e io gli dicevo che lasciavo
il laboratorio. abbiamo parlato e pianto fino all'alba. se n'è andato dicendomi
che qualsiasi cosa avessi deciso, avrei fatto male. "se te ne vai disturbi, se
resti disturbi comunque" - mi disse. poi se n'è andato.
io sapevo solo che non potevo più starti vicino.
che mi stavo logorando pian pianino.
decisi di rimanere ma con una promessa a me stessa:
che, pur rimanendo, non avrei più parlato, più mostrato nulla di me - che avrei
recitato in tutto, in definitiva. poi, finito quel che c'era da finire, me ne
sarei andata finalmente libera.
ho fatto così. a volte son riuscita a rispettare la
promessa, a volte sono crollata, ma dio solo sa quanto è stato difficile tenere
tutto compresso.
il giorno del tuo incidente ti scrissi un
messaggio. diceva "come stai?". a fare una botta di conti neanche troppo
difficile ti scrissi più o meno la stessa ora in cui tu venivi soccorso. non te
lo inviai. grazie a dio, posso dire ora.
erano giorni che ti pensavo, che mi mancavi in
misura feroce, oserei dire. andavo a letto la sera facendo le tacche sul muro:
oggi è un altro giorno che non l'ho sentito, diceva la tacca sul
muro.
era una resistenza disumana. ora lo posso
dire.
poi è accaduto quel che è accaduto. ricordo di aver
pensato per tanti tanti giorni: io resistevo e intanto potevo perderlo. un
binomio assurdo. assurdi quei giorni.
fare le scale di casa tua, chiedermi ogni volta -
faccio bene? o dovrei stargli lontana? - arrivare fino in camera tua e
sorriderti - tutto è stato una guerra che mi ha sfinito.
mi muoveva solo l'istinto, in quei giorni, no, lo
dico: mi muoveva solo l'amore.
sapevo che una volta tornato in piedi, io sarei
dovuta tornare al mio posto.
così è accaduto. hai tanti, infiniti,
sottilissimi modi per star lontano e farmi stare "al posto mio" che forse
neanche tu li riconosci.
ti ho scritto, oggi. "ti va una tisana e la
crostata della mia nonna, che anche se non è vegana però è
buona, stasera?"
come è già accaduto, il messaggio l'ho cancellato,
e dio solo sa cosa sono i nostri gesti non fatti, le parole non dette, le
emozioni soffocate, dove sfociano, dove vanno a morire o a rivivere, come si
vestono o travestono, se s'attaccano alle pareti della casa e a quelle del
cuore, dio solo sa se è sempre meglio dirle, le cose, oppure tacere, se la paura
di parlare è paura di essere poi abbandonati, lasciati lì, o se invece
se invece
se solo si parlasse
allora
le persone possono sorprenderti, dagliene la possibilità!
RispondiEliminafatto. abbiamo sancito la nostra separazione. terremoto sotto i piedi. e adesso cosa faccio? fuori c'è il sole, oggi, e io non so come viverlo.
RispondiEliminaguarda avanti..il peggio è passato, Il peggio è il momento in cui ti dice: basta. Ora puoi ricostruire. Ti abbraccio fortissimo! tu sei forte!
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