giovedì 24 maggio 2012

Lasciar libere le sedie

(Se mi chiedessero

-          Sì ma tu chi sei? – )


M’appoggio al termosifone, accanto al suo letto, ci sono sedie libere tutt’attorno eppure non riesco mai a stare seduta. Assecondo la tensione interna e la trasmetto ai muscoli delle gambe – che almeno mi reggano in piedi, se proprio ‘sti muscoli devono lavorare.

Ogni volta che entra qualcuno mi “spiaccico” bene bene alla parete – scusate, faccio posto, lascio spazio, non voglio rubarne prego avvicinatevi.

Ma tu chi sei?

Io…

Io niente…

Io ero…

Io adesso… un’amica – ecco sì, trovato: un’amica, e lo posso dire sorridendo cordiale – sono un’amica di Marco ma scusate adesso mi posto eh? Che capisco… io … torno a trovarlo un altro momento…

Io faccio posto.

Lascio spazio.

Mi tremano i muscoli delle gambe, sorrido cordiale.

Faccio posto.

Mi scanso.

Solo quando mi stringe la mano forte, solo in quella frazione di secondo lì:     ricordo:

io ero….

io sono…


martedì 22 maggio 2012

quando, dicono, si è bravi

Passare i giorni a fare le tacche sul muro. con le unghie. attendere l'arrivo della sera - stremata - per andare a letto indossando la vittoria di carta velina dell'aver resistito a cercarti.
brava
brava
sei stata brava
e i messaggi in bozza rimangono larve che non nasceranno mai - come stai? ti vanno un gelato e due passi? andiamo a bologna sabato pomeriggio?

brava
brava
sei brava

a fare cosa? a stargli lontano? - m'accartoccio sotto le coperte aspettando di vederlo in sogno - che poi no, non lo vedo mai neanche lì, lo cerco sento la voce ma non riesco mai a vederlo.

e poi...

e poi svegliarsi una mattina e leggere una mail notturna, poche righe, terribili, agghiaccianti, correre in ospedale, fermarsi sulla soglia della stanza






stringere la tua mano bianca bianca, riempirla di bacini, sorriderti mentre tremo, guardarti e guardarti e guardarti, pensare - come ho potuto?
come ho potuto starti lontano.

la tua mano che stringe forte la mia mentre l'infermiere ci fa uscire tutti:
mi basta. ci vediamo domani.

domenica 13 maggio 2012

al suo orecchio un segreto confidò

Non trovo mai la mia fotografia preferita.
Appena prima di entrare in scena, io seduta sulla carrozzina tu inginocchiato davanti a me mi allacci una scarpa.
Qualche burlone ci ha immortalato.

Devo averla nascosta bene bene da qualche parte...


"ciò che entra in testa
per sempre resterà
sia questa la tua festa
nel tempo che verrà"

giovedì 3 maggio 2012

una nostalgia di imperfetto

E' solo questione di abitudine o starò sempre male, dopo?

Cigolano le ginocchia, ululano i muscoli, le gambe reggono a stento. molto dolore.
Colazione di caffè e tachipirina. che funzioni alla svelta. mi aspettano scatoloni da fare, nell'ufficio in dismissione: polvere e carta e cose da buttar via senza neanche guardare cosa sono, in mezzo capitano documenti importanti, ma che gusto farli volare nel cestino assieme a tutto quello che importante non è.

cosa vede un occhio esterno?

due donne attorcigliate su una carrozzina? una donna molto bella e una donna molto brutta? l'occhio e il cuore di chi guarda si divide in due tra ammirazione e commiserazione?
Eppure che gusto muoversi in danza con una vera danzatrice.
ecco, quando dico "il meglio di me", questo è uno di quei momenti. in cui torna tutto a posto, lo sforzo vale il risultato, il dolore è direttamente proporzionale alla soddisfazione finale.

cosa vede l'occhio e il cuore di chi guarda?

ho agito in un silenzio sacro, in una lentezza seria e concentrata: piano ho arrotolato le maniche a scoprirgli le braccia e le spalle, i calzoncini a scoprirgli le cosce, gli ho passato le mani dappertutto, iniziando dalla schiena grande e forte, le spalle, poi giù giù, con delicatezza l'ho spinto in avanti. si lasciava fare. poi le braccia nude, tutte, chinandomi in avanti ho respirato i suoi capelli, il sudore buono della danza di poco prima, poi il collo, il petto, la pancia - silenzio, dolore forte, mani dolci, zero paura - gli ho alzato una gamba, fatto appoggiare il suo piede sulle mie cosce, gli ho sfilato i calzetti, pieni nudi - mi ha detto qualcosa, stai zitto - gli ho risposto. ho passato le mani sulla sua gamba, il polpaccio, il piede - dolore forte, muscoli che tremano, respiro affannato, mani dolci.

cosa vede l'occhio, cosa sente il cuore?

ha rabbrividito. ho staccato le mie mani.
ti do fastidio?
non risponde, resta in silenzio.
rabbrividisce di nuovo.
ti do fastidio?
mi guarda serio, quasi rabbioso - è solo un brivido, solo un brivido - lo ripete rabbioso, come infastidito di quel brivido sfuggito.
non ho mai toccato il corpo di un uomo che amassi, mai così tanto, non ne conosco le azioni nè le reazioni. la non conoscenza mi lascia insicura, impaurita.
l'ho scitto sul muro, la fronte a premere forte contro la parete fredda, le dita delle mani che prima andavano piano su quel corpo d'amore, a scrivere - adesso - me, me sola, me e basta, me lasciata lì, me senza, me con lui a pochi passi da me, distante e vicino, così vicino da essermi addosso.

"che t'amo forte t'amo"
"che t'amo forte t'amo"
"che t'amo forte t'amo"

dopo, li ho guardati ballare, corpi perfetti che ballano sciolti nel finale di tre ore di lavoro.
ho provato una nostalgia strana, brama di chi guarda da dietro un vetro, di qualcuno a cui non è concesso.

eppure, eppure, ho pensato, se ami, se  mai amassi, questa me imperfetta e goffa e dolce, se solo l'amassi, proveresti nostalgia, nostalgia in mezzo a tutti gli altri corpi che si avvicinano
si avvicinano, ti ballano intorno, e sono bellissimi, e sono perfetti, ma non sono me.